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Il Vulture Melfese, il Regno di boschi e castelli




Federico II, uno dei Sovrani più grandi e illuminati in assoluto, ne rimase folgorato eleggendolo suo eden per la falconeria. E il verde intenso delle immense foreste ciò che, infatti, colpisce di questa terra vulcanica, luogo natale dell’Aglianico DOCG, di castelli e antiche abbazie frequentate nei secoli da re e regine, papi e letterati, templari e briganti.
Qui è la terra dove fortezze, torri e borghi sono
aggrappati ad alture inespugnabili
Un’enorme gigantesca foresta intervallata di qua e di là da pennellate azzurre di laghetti e corsi d’acqua che interrompono la sconfinata distesa verde che, lentamente, da ovest verso est, si dirada lasciando il passo a più dolci e variopinte colline ricoperte di vigneti (questa è la patria dell’Aglianico DOCG, il re dei vini.
Tesori che offrono scorci fiabeschi fra foreste incantate di faggi, cerri, castagni, aceri e lecci che d’autunno esplodono in una miriade di sfumature di gialli, rossi ed aranci, deliziosi laghetti incastonati nella folta vegetazione e antichi vulcani, come il dormiente Monte Vulture (1326 metri) attorno alle cui ripide e boscose pendici si estendono terreni che le preistoriche colate laviche hanno reso
fertilissimi.







Ma il Vulture è anche borghi medievali, insediamenti preistorici, aree archeologiche di straordinaria ricchezza. E poi castelli, monasteri, fantastiche cattedrali attorno a cui aleggiano atmosfere misteriose e storie di personaggi leggendari che hanno reso quest’angolo di Basilicata da sempre fra i più affascinanti e floridi della regione. Re e regine, papi e schiere di religiosi, templari, e poi poeti e letterati, principi e musicisti, cavalieri, condottieri e finanche briganti cui proprio le impenetrabili selve offrivano un rifugio sicuro.
Terra di conquista e di battaglie, luoghi perfetti, data la posizione strategica di collegamento fra l’antica
Apuleia e la Campania, per controllare i commerci grazie a fortilizi situati su colli inaccessibili.
Dauni e Sanniti, Romani e Longobardi, Bizantini e Normanni, insieme a Svevi, Angioini e Aragonesi. Ognuno ha lasciato gemme preziose del suo passaggio in una terra dal fascino arcano che ammaliò perfino Federico II di Svevia.

In queste lande boscose, popolate da animali selvatici e sorvolate da rapaci d’ogni tipo, infatti, “Stupor Mundi”, come l’imperatore veniva definito, aveva trovato il suo eden, amante quale era dell’arte della falconeria, a cui dedicò il trattato “De arti venerandi cum avibus” e le costellò di masserie regie, manieri e castelli.
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Melfi, paese dalle origini remote e misteriose

Paese indubbiamente ricco di suggestioni, vessillo di una storia gloriosa che la portò a diventare nel 1059 Capitale del ducato di Puglia, Melfi è stato a lungo centro focale della cultura lucana e ai giorni nostri conserva intatto il suo fascino medievale, con la sua cinta muraria unica, risalente al XV secolo, che di certo, in passato, lo ha reso davvero un borgo inespugnabile.



Sul suo abitato incombe, imponente e austero, quasi a guardia, il castello costruito in epoca normanna, ma fatto ampliare dal sovrano svevo Federico II, sicuramente uno dei più maestosi della regione con le sue otto torri dominanti reso.
Fu in esso che Federico II promulgò le famose Constitutiones Augustales, anche note come Costituzioni Melfitane, le norme che riorganizzavano i diritti feudali riconoscendo alle donne il diritto di successione ereditaria.



Oggi è anche sede del Museo Archeologico del Melfese e custodisce preziosi reperti del VII-III secolo Avanti Cristo, oltre al celebre Sarcofago di Rapolla, stupenda opera della seconda metà del II secolo proveniente dall’Asia Minore che sul coperchio reca la delicata scultura di una donna distesa.
Sempre all’interno del castello, superato il ponte levatoio che solca un profondo fossato, la torre dell’orologio, insieme con tutte le altre torri, fa da cornice alle ampie corti interne e al Palazzo Baronale Doria, che offre l’accesso alla cinquecentesca cappella gentilizia.
Usciti dal castello si può andare alla scoperta dei tesori artistici e architettonici del borgo, partendo dalla famosa e bella Porta Venosina che, con la sua forma ogivale, è uno dei sei antichi ingressi alla città, costruita nel XIII secolo in occasione dell’ampliamento delle mura di cinta cittadine voluto da Federico II.

Sul paese, poi, svetta in tutto il suo slancio lo splendido campanile della Cattedrale, dedicata all’Assunta, risalente al 1056, su cui troneggia il simbolo normanno dei due grifoni.


L’imponenza della sua architettura testimonia il ruolo strategico che a lungo Melfi ebbe anche nell’ambito del potere spirituale.
Fu, infatti, sede di diversi concili papali e, in quello del 1089, il Pontefice Urbano II costituì insieme ai Normanni quella Lega che avrebbe poi condotto alla Prima Crociata verso i luoghi santi.
Infine, oltre a tutte le altre bellezze, fuori dal centro abitato, nei pressi del cimitero cittadino, si trova la Cripta di Santa Margherita, straordinario gioiello di arte rupestre risalente al XIII secolo.

Lo splendore degli affreschi della cripta di Santa Margherita, scavata nel tufo nel XIII secolo, raffigurano episodi della vita della stessa Santa Margherita e il famoso Monito dei morti.

L’interno, scavato nel tufo vulcanico, è affrescato con diverse pitture di incredibile delicatezza e bellezza in stile bizantino. Esse raffigurano il martirio della Santa e scene della sua vita e di altri “guerrieri” del
Signore, oltre al cosiddetto “Monito dei morti” nel quale si vuole rappresentato Federico II in abiti da falconerie.
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