





Incorniciato da tre parchi nazionali, il tratto di costa lucana che si affaccia sul Tirreno è un inno alla natura e ai suoi contrasti con scogliere a picco sul mare cristallino, spiagge incontaminate, deliziose calette e un entroterra custode di inaspettate sorprese fra laghetti glaciali e borghi-presepe.
Nell’antichità i Greci la chiamarono la Dea del mare, da Thea maris. Oggi la si conosce come la “Perla del Tirreno”. Appellativi che danno subito l’idea di quello che effettivamente è Maratea (Pz), unico sbocco lucano sul Tirreno, incastonato all’interno del Golfo di Policastro, con a nord la Campania e a sud la Calabria.
Trentadue chilometri di coste fra le più belle d’Italia, più volte insignite della Bandiera blu, in uno degli scenari paesaggistici più selvaggi e incontaminati dell’intera costa tirrenica, preservati da una politica di cementificazione più controllata che altrove, allo stesso tempo esclusivi ma discreti, punteggiati di ville e costruzioni perlopiù a basso impatto ambientale che si mimetizzano perfettamente nella folta vegetazione che le circonda.






Un angolo di paradiso in terra incorniciato da tre dei più bei parchi naturalistici del Meridione, a sud-est il Parco Nazionale del Pollino e a nord i Parchi nazionali dell’Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese e del Cilento e Vallo di Diano, ricadente in territorio campano.
Una terra di contrasti unici e indimenticabili a partire dal verde intenso della folta vegetazione che in alcuni tratti si spinge fin quasi al pelo dell’acqua creando un gioco di incomparabili contrasti con gli azzurri del cielo e del mare. E’ la terra dei fantastici tramonti e dell’abbagliante luce tirrenica, delle candide spiagge alternate ad aguzze scogliere che si gettano a picco nel mare formando piscine naturali dalle sfolgoranti sfumature turchesi raggiungibili solo via mare o attraverso ripidi sentieri. Luoghi di profumi inebrianti e fioriture dai colori sgargianti. Ginestre, fiordalisi, orchidee, asfodeli, euforbie e tanti altri tipi di fiori, come la rara Primula Palinuri, sembrano quasi fare a gara fra loro per arricchire il più possibile la tavolozza cromatica della costa digradante verso il mare.


E poi cespugli di ginepro, erica, finocchio selvatico e mirto, fichi d’India, pini e piante di agave e, man mano che si sale di quota, aromatici e più cupi boschi di cerri, carpini, lecci, aceri e olmi che rivestono i colossi appenninici fra cui svetta il Monte Papa (2000 metri), la cima più alta del complesso del Sirino, e, fra le maggiori della regione.
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