Cosa Vedere nei Calanchi della Basilicata:
location magica e nascosta
Cosa Vedere nei Calanchi? un qualcosa di assolutamente imperdibile quando si viene nella nostra regione.
Un luogo incredibilmente bello, silenzioso, mistico e che quasi sembra irreale.
Cosa Vedere nei Calanchi lucani:
per sentirsi quasi in un deserto!
Cosa Vedere nei Calanchi. I Calanchi sono un paesaggio del tutto peculiare dato dal susseguirsi di colline e pinnacoli argillosi intervallati da pochi arbusti e cespugli e che celano al loro interno finanche dei fossili. Quindi, un vero tesoro geologico!!!
I paesi presenti in quest’area sono:
Tursi (MT) – Valsinni (MT) – Senise (PZ) – Sant’Arcangelo (PZ) – Aliano (MT) –Stigliano (MT) – Craco (MT) – Ferrandina (MT)
– Missanello (PZ) – Roccanova (PZ) – Salandra (MT)
– Colobraro (MT).
Buona scoperta!
I Calanchi: paesaggi come sulla luna
Itinerari e suggestioni fra i luoghi segreti di una Terra ancora da scoprire
Nel cuore più nascosto e solitario della regione, i luoghi magici e pieni di spiritualità descritti da Carlo Levi nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, fra pinnacoli naturali, enormi sculture di argilla che i secoli hanno modellato conferendogli le forme più strane e fantasiose, aride dune bianche che si sbriciolano sotto il peso degli agenti atmosferici, profondi canyon e borghi dal fascino arcano.
E’ lo scenario in cui ci si imbatte visitando uno degli angoli più remoti, e forse per questo più magici della Basilicata, quello dei Calanchi, nel cuore della parte sud-orientale della regione.
Un comprensorio, per tutelare il quale è in via di istituzione un parco regionale, chiuso, procedendo da Ovesto verso Est, fra i lussureggianti boschi delle montagne appenniniche, le dolci colline del Materano e le fertili pianure che scivolano verso il Mar Jonio, che un tempo ricopriva con le sue acque buona parte dell’entroterra. Sono, infatti, numerosi i ritrovamenti di fossili marini avvenuti nell’area occupata oggi dai Calanchi, il cui perimetro naturale è segnato dalle valli del torrente Sauro e dei fiumi Agri e Basento, capace di offrire scorci talmente inusuali per la nostra penisola che, guardandone le immagini, si potrebbe tranquillamente pensare alla Cappadocia e, per alcuni angoli, addirittura all’Arizona.
Luoghi malinconici che aprono squarci su paesaggi solitari che si assaporano percorrendo stradine lente e tortuose che con le loro suggestioni hanno ispirato poeti, pittori, scrittori e registi che proprio per la loro bellezza e unicità li hanno spesso scelti, per esempio, come set per i loro film che necessitavano ambientazioni drammatiche ed “esotiche”.
Pier Paolo Pasolini, Lina Wertmuller, Gabriele Lavia, Francesco Rosi, Giuseppe Tornatore, Fabio Segatori, Bruce Beresford e Mel Gibson, solo per fare qualche nome.
Così li descrisse nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli” Carlo Levi, che in questi posti trascorse il suo periodo di confino sotto il regime fascista tra il 1935 e il 1936 : ” ….e d’ogni intorno altra argilla bianca senz’alberi e senza erba, scavata dalle acque in bocche, in coni, in piagge d’aspetto maligno, come un paesaggio lunare …. e da ogni parte non c’erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come liberate nell’aria”.
Solo di tanto in tanto si scorge in lontananza qualche suggestivo borgo che, arroccato sui burroni d’argilla, scruta dall’alto le enormi distese dorate e increspate dell’intorno.
Per visite guidate, escursioni e pacchetti vacanza nel territorio dei Calanchi
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I Calanchi, un vero Museo geologico a cielo aperto
I Calanchi sono particolari forme di erosione innescate dall’azione combinata del sole (che surriscalda la parte superficiale dell’argilla provocandone screpolature e fessure) dell’acqua piovana. Questa, per infiltrazione, provoca la disgregazione delle argille dando vita a geometrie radiali o a pettine separate da stretti crinali a “lama di coltello” e da guglie aguzze.
L’area, straordinario Museo a cielo aperto della storia geologica della Basilicata, un tempo, coperta dal mare, ha cominciato ad assumere le sue caratteristiche a partire dal Pleistocene Inferiore e Medio (da 1,8 milioni a 1.200.000 anni fa) in seguito alla trasformazione delle Argille subappennine. La sua metamorfosi è in continuo divenire e in futuro i Calanchi occuperanno una superficie sempre maggiore a causa dell’arretramento dei versanti dei rilievi.
Sacro agli antichi Egizi, il capovaccaio ha dato vita fra le tranquille creste dei Calanchi a una delle sue rare colonie italiane.
La vegetazione che ricopre i Calanchi è generalmente molto scarsa ed è costituita essenzialmente da cespugli e dai cosiddetti alimi, curiosi arbusti dalle foglie argentee, alti non più di due metri, aggrappati alle scoscese pareti argillose, mentre per quel che riguarda la fauna ci sono soprattutto volpi, ricci, faine, lepri, donnole e diversi rapaci fra i quali poiane, nibbi reali, bianconi e capovaccai. Proprio questi ultimi, un tempo più diffusi in buona parte dell’Italia centrale e meridionale, hanno dato origine fra le increspature calanchive, a una delle rare colonie italiane ormai esistenti, il capovaccaio, “Neophron peronopterus”, il più piccolo degli avvoltoi europei, con un’apertura alare che non va oltre il metro e mezzo, è, infatti, oggi presente nella penisola in appena trenta esemplari, che vivono in maniera stanziale fra Basilicata appunto, Sicilia, Puglia e Calabria, mentre altri ne arrivano in primavera dall’Africa per poi ritornarvi seguendo le stagionali rotte migratorie.
Nell’antichità era considerato un animale sacro nell’Egitto dei Faraoni, utilizzato simbolicamente nei geroglifici, e vederlo volare è un vero spettacolo col suo piumaggio bianco e l’inconfondibile becco giallo-arancio con la punta nera.
Craco, “il paese-fantasma” che ammalia e i suoi paesaggi western
Craco (MT) è un paese fantasma di origine medievale, abbandonato nel 1963 dalla popolazione locale, trasferitasi più a valle nel nuovo comune Craco Peschiera, in seguito all’ultima di una serie di frane che interessarono il territorio. Il borgo è caratterizzato da una bellezza scenografica davvero unica, circondato com’è da paesaggi che si presterebbero efficacemente ad ambientazioni da film western. E non a caso diversi registi l’hanno trasformato in set cinematografico per girare le loro pellicole.
Tra queste “King David” (1985) di Beresford, “La Lupa”(1996) di Lattuada, “Terra bruciata”(1999) di Segatori, fino al più recente “La passione di Cristo”(2004) di Mel Gibson, che qui ha ambientato la scena dell’impiccagione di Giuda.
Da ultimo i ruderi della parte terremotata sono stati aperti alla visita turistica, dove muniti di idoneo equipaggiamento e scortati da un accompagnatore, ci si può aggirare tra le case diroccate e le finestre sventrate, il tutto è avvolto in un’atmosfera di grandissima suggestione.
Dall’esterno, inoltre, il colpo d’occhio, un po’ spettrale ma decisamente attraente, è comunque notevole.
Un groviglio di cunicoli, scalinate e case che si attorcigliano intorno alla possente Torre Normanna, che sorge a picco su un profondo precipizio, e al campanile della Chiesa Matrice di San Nicola, di fronte alla quale furono fucilati, nell’ambito delle rivolte post-unitarie, una ventina di briganti.
Secondo la leggenda, il borgo è legato alle gesta dei Templari e infatti si racconta che vi giunse ferito San Vincenzo Martire, patrono del minuscolo paese, insieme con San Maurizio, proprio dopo uno dei viaggi in Terra Santa nel periodo delle Crociate.
D’altronde il paesino ha avuto un fiorente passato – nel 1276 divenne sede universitaria – ravvisabile anche nella sontuosità di alcune delle sue architetture. Un patrimonio storico-artistico, inserito peraltro per il 2010 nella lista dei luoghi da salvaguardare nel mondo redatta dalla World Monuments Funds, che fortunatamente oggi, grazie al progetto “Craco ricerche” non rischia di andare perduto.
Il progetto ha, infatti, richiamato l’attenzione della comunità scientifica internazionale diventando un laboratorio a cielo aperto per esperti geologi che monitorano i movimenti del terreno con sofisticate apparecchiature.
Attualmente, il paese e tutto il territorio circostante, sono stati dichiarati Parco Museale scenografico.
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Tursi e il quartiere arabo Rabatana
Un groviglio di casupole, stretti cunicoli, vicoli scoscesi e gradinate che conducono a profondi precipizi costellati di numerose grotte scavate nell’argilla
A circa venti chilometri dalla costa jonica, sui declivi di una roccia di arenaria tra i fiumi Agri e Sinni, sorge Tursi (MT), decantato nei suoi versi dal poeta dialettale della Civiltà contadina Albino Pierro, due volte candidato al Nobel per la letteratura, che qui nacque nel 1916.
L’abitato è sovrastato dalla cosiddetta Rabatana che, fondata dai Saraceni nel X secolo, rappresenta il nucleo più antico del paese anche se diversi ritrovamenti archeologici avvenuti nella zona testimoniano che tutta l’area ospitò precedenti insediamenti umani a partire già dal IX-VIII secolo A.C.
Deriva il suo nome da “Rabat”, che significa borgo fortificato, tana degli arabi, e, abitata dapprincipio dai Saraceni, fu utilizzata in seguito anche dai briganti come covo per controllare il territorio circostante durante gli anni del brigantaggio.
Su di essa dominano i ruderi dell’antico Castello del VI secolo.
Mentre, scrigno di numerose opere d’arte è la Chiesa Santa Maria Maggiore in Rabatana, fondata nell’XI secolo su un precedente luogo ipogeo, alla quale si accede da un bel portale rinascimentale.
All’interno un bellissimo Trittico su tavola della fine del ‘300 che raffigura diverse storie della vita di Gesù, un’acquasantiera cinquecentesca, oltre a un suggestivo presepe in pietra del XVI secolo di Altobello Persio e a degli affreschi rinascimentali che adornano la cripta, attribuiti da alcuni studiosi a Giovanni Todisco, da altri alla scuola di Simone da Firenze.
Non lontano dalla Rabatana, un pò fuori dall’abitato, è il Convento di San Francesco, fondato nel Quattrocento con il caratteristico campanile dalle forme arabeggianti e circondato da profondi burroni, precipizi che Albino Pierro chiamava “Jaramme”, da cui si scorgono, a valle, i cosiddetti “Giardini di Tursi”.
Distese ricoperte di aranceti, pescheti e uliveti, dove grazie al clima mite favorito dalla vicinanza del mare si coltivano anche ortaggi di ottima qualità e varietà.
Ai piedi della Rabatana si sviluppa, la restante parte del centro storico cittadino a cui è collegata da una ripida gradinata, la cosiddetta “a petrizze”, appesa a un crinale con uno strapiombo di oltre duecento metri.
Questa parte del centro storico è punteggiata da suggestivi edifici gentilizi quali i Palazzi Brancalasso, Latronico, De Giorgis, Basile, Panevino, solo per citarne alcuni.
Fra le chiese più interessanti, invece, sono da vedere quelle di San Filippo Neri, fondata con l’annesso oratorio nel 1600, della Madonna delle Grazie con la facciata barocca, anche se il suo nucleo originario risale al XII secolo, e l’edificio della Cattedrale dedicata all’Annunziata, di fondazione quattrocentesca ma interamente ricostruita in seguito a uno spaventoso incendio nel 1988.
A circa venti minuti dall’abitato, si arriva, attraversando ondulati paesaggi incontaminati nei quali si vede solo, di tanto in tanto, qualche masseria, a uno dei gioielli artistici della regione, il Santuario di Santa Maria d’Anglona, Monumento nazionale dal 1931.
Esso rappresenta un vero capolavoro di architettura medievale sacra edificato tra l’XI e il XIII secolo nell’area su cui sorgeva la leggendaria città greca Pandosia, fondata nel 1000 avanti Cristo e della quale non resta più traccia.
Pregevoli sono il portale, sovrastato da sculture in bassorilievo che raffigurano l’Agnello, simbolo di Cristo, con gli Evangelisti, e le formelle in cotto incastonate sulle pareti esterne con figure zoomorfe di chiara influenza araba.
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Aliano cela il cuore più intimo e segreto dei Calanchi
Calanchi in piena libertà
In macchina oppure a piedi, o anche a cavallo per scoprire gli angoli più intatti dell’area calanchiva.
Costeggiando, quasi toccandoli, pinnacoli e guglie argillose, e, superando avvallamenti e burroni che aprono squarci panoramici sul malinconico e solitario intorno nel quale ci si può trovare a percorrere chilometri senza incrociare neppure una macchina, si arriva ad Aliano (MT).
Aliano è un piccolo borgo arroccato su un profondo costone d’argilla a cui si accede da una ripidissima salita.
L’impressione che si ha in questo paesino, circondato da così tanti precipizi e anfratti,soprattutto quando cala il crepuscolo, è di essere completamente isolati e tagliati fuori dal mondo.
Sensazioni che ancora oggi, anche se in maniera sicuramente più attenuata grazie a una viabilità moderna e veloce, richiamano quelle che Carlo Levi, che ad Aliano trascorse otto mesi del suo confino, immortalò nel suo “Cristo si è fermato ad Eboli“.
Nel libro, oltre ai luoghi, descrisse magistralmente anche la cultura, gli usi, le tradizioni, la profonda umanità dei contadini alianesi di cui si innamorò a tal punto che quando morì, per sua espressa volontà, fu seppellito nel cimitero cittadino. dove riposa dal 1975.
Nei vicoli del paese aleggiano leggende di malocchi, fatture e folletti dispettosi (i cosiddetti “monachicchi”), tracce di una cultura contadina intrisa di magia e superstizione che ancora sopravvive anche grazie all’istituzione del Parco Letterario Carlo Levi.
Strettamente legata a questi temi è la caratteristica “Casa del malocchio” che ha le sembianze di un volto umano.
E’solo una delle poche rimaste fra quelle che sorgevano un tempo all’interno del borghetto che con le loro sagome “umane” avevano la funzione di tenere lontani dalle abitazioni gli spiriti e gli influssi negativi.
Oltre ai luoghi legati al Parco, sono anche da vedere la seicentesca Chiesa di San Luigi Gonzaga, che custodisce al suo interno diverse opere d’arte che vanno dal Cinquecento al Settecento.
Fra queste le tele della Madonna degli Angeli, che alcuni studiosi hanno attribuito a Luca Giordano, e della Madonna del Suffragio e donatore, del pittore lucano Carlo Sellitto.
Quest’ultimo nacque, infatti, a Montemurro (Pz), divenendo uno dei ritrattisti più noti e ricercati dall’aristocrazia napoletana a cavallo fra ‘500 e ‘600 che gli storici dell’arte hanno definito “il primo caravaggesco napoletano”.
Molto suggestiva, a ridosso del nucleo più antico del paesino, è l’illuminazione scenica notturna del cosiddetto “Fosso del Bersagliere“, un profondissimo precipizio dove si racconta venne gettato dai briganti un gendarme.
Nei pressi di Aliano è la frazione di Alianello (MT), intorno alla quale sono stati fatti importanti ritrovamenti archeologici che testimoniano l’incontro fra le popolazioni locali, che abitavano queste terre a partire dall’Età del ferro, e i Greci.
Diverse sono, infatti, le necropoli venute alla luce contenenti stupendi corredi funebri con armi e preziosi ornamenti in metallo e ambra risalenti al VI secolo Avanti Cristo.
Fra i musei e i luoghi più evocativi di Aliano: Cristo si è fermato ad Eboli
La magia del Parco Letterario “Carlo Levi”
I luoghi e le atmosfere dell’indimenticabile “Cristo si è fermato ad Eboli”sono oggi valorizzati attraverso le molteplici attività del Parco Letterario intitolato al grande letterato e pittore piemontese, fra cui i cosiddetti “viaggi sentimentali” che conducono il visitatore, tramite letture dei testi di Levi, visite guidate e rappresentazioni teatrali in costume per le vie del paese, alla scoperta dei luoghi descritti nel libro.
Strettamente legati al Parco sono il Museo della Civiltà Contadina che espone arnesi e oggetti di vita quotidiana; il Museo Storico Carlo Levi, dove sono esposti carteggi e varie opere pittoriche dell’artista, e la Casa di confino, nella quale Levi visse durante la permanenza ad Aliano e al cui terrazzo si gode una bellissima vista sul paesaggio lunare circostante.
Correlato al Parco è il Premio Letterario nazionale “Carlo Levi”, che si tiene ogni anno a Novembre e a cui prendono parte abitualmente diversi personaggi di spicco della letteratura italiana contemporanea.
Il Carnevale di Aliano
Creature demoniache e stravaganti dai significati magici animano il suggestivo Carnevale alianese.
Dei suoi rituali, delle sue maschere cornute e spaventose realizzate in argilla dagli artigiani locali, delle penne di gallo utilizzate per coprirsi il capo, dei campanelli di bronzo tintinnanti scrisse anche Carlo Levi, che ne rimase particolarmente colpito.
Suggestioni che ancora oggi sopravvivono con vigore e che non lasciano senza meraviglia.
Cenni storici: Carlo Levi e l’amore per i suoi contadini
“Era come le bestie, uno spirito della terra: non aveva paura del tempo, né della fatica, né degli uomini. Sapeva portare senza sforzo, come tutte le donne di qui, … i più gravi pesi”.
Sono le straordinarie, essenziali pennellate che Carlo Levi utilizza per descrivere nel suo libro il temperamento di uno dei personaggi di Gagliano (Aliano) che più l’hanno affascinato.
Giulia la Santarcangiolese, una delle “streghe” del paese, una donna dai “denti bianchissimi, potenti come quelli di un lupo” e con “un’oscura ironia, … una protervia impenetrabile e una passività piena di potenza”.
Una figura che un pò racchiude tutto il fascino che lo scrittore piemontese nutre per quella terra dove “Tutto è realmente possibile …. dove gli antichi idoli dei pastori, il caprone e l’agnello rituale,ripercorrono, ogni giorno, le note strade, e non vi è alcun limite sicuro a quello che è umano verso il mondo misterioso degli animali e dei mostri”.
Si innamora Carlo Levi di tutto ciò e della profonda umanità di quei contadini dimenticati dallo Stato eppure esempio ineguagliabile di solidale e secolare pazienza tanto da arrivare a scrivere quando giunse il momento di abbandonare Aliano : “Così fui strappato a quell’apatico fluire dei giorni … ora sentivo in me quel distacco che non sapevo superare, un senso di infinita lontananza, … che mi impedivano di godere appieno dei beni ritrovati …. quella vita non era più la mia, e non mi toccava il cuore”.
Un abbandono temporaneo però, perchè nella sua amata Aliano è ritornato Levi, per sempre, con le sue spoglie, che riposano nel cimitero cittadino, in quella terra che gli ha toccato il cuore, impastata di sole e d’argilla, i Calanchi.
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A Valsinni rivivono le gesta della grande poetessa Isabella Morra
Il borghetto di Valsinni (MT) col suo grazioso groviglio di vicoli e paesaggi, il suo bel castello e la sua Chiesa Madre, sorge in posizione panoramica sulla valle che si estende ai suoi piedi, praticamente sul confine settentrionale del Parco Nazionale del Pollino.
E la sua storia è legata in maniera indelebile al triste destino che colpì nel 1546 la giovane e sventurata poetessa Isabella Morra. Appartenente alla ricca famiglia feudataria che all’epoca governava il paese venne, infatti, uccisa dai fratelli a causa del suo amore platonico nei confronti di uin castellano spagnolo della vicina Bollita, l’attuale Nova Siri (MT).
Della sua storia rimane memoria nel castello medievale, che dall’alto del profondo burrone su cui sorge domina il piccolo abitato,e nel Parco Letterario a lei intitolato che ne ripercorre in maniera originale e coinvolgente tutta la vicenda.
Il borgo, a cui è stata assegnata Bandiera arancione, il marchio di qualità turistico-ambientale conferito dal Touring Club Italiano, in quanto uno fra i piccoli borghi più suggestivi dell’entroterra italiano, è un affascinante intreccio di stradine e passaggi coperti a volta, i cosiddetti “gafii”.
Al suo interno meritano una visita la Chiesa Madre dedicata all’Assunta, che custodisce, fra le altre opere d’arte, un Crocifisso ligneo del XV secolo, e Palazzo Mauri, che ingloba nella sua architettura un antico mulino di cui sono visibili ancora le grosse macine di pietra,testimonianza dell’antica tradizione locale di mugnai.
In cima al Monte Coppolo, alle spalle del paese, sono, invece, visibili i resti dell’acropoli edificata nel IV secolo A.C. , e della cinta muraria formata da blocchi squadrati appartenenti a un’antica città fortificata che alcuni studiosi hanno individuato come la possibile mitica colonia greca di Lagaria, fondata da Epeo, il famoso costruttore del cavallo di Troia.
Non lontano è il Bosco di Gallinico al cui interno sorge il Parco attrezzato dei “Crisciuni ” con aree pic-nic, parco giochi e un laghetto per la pesca sportiva.
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Ferrandina con Federico e Isabella d’Aragona
Questo paesotto sorge nei pressi del fiume Basento, intorno al quale si aprono i dolci paesaggi della collina materana, ed è un vero capolavoro architettonico con casette bianche dalle facciate strette, l’una di fianco all’altra e ammassate le une alle altre.
E’ veramente un’esplosione di colori e forme con le sue piccole e variopinte abitazioni fra di loro affiancate che ricordano le tipiche città del Portogallo.
Il profilo dell’abitato che si sviluppa in lunghezza è movimentato da una parte dalla possente mole della Chiesa Madre dedicata a Santa Maria della croce e dall’altra dalla maestosa sagoma del Convento e della Chiesa di San Domenico, con la sua grande cupola maiolicata.
Interessanti sono anche le Chiese del Purgatorio, col suo bel portale cinquecentesco, e il Monastero e la Chiesa di Santa Chiara, edificati nel Seicento.
Nell’intricato e affascinante centro storico del paesotto, fra l’altro, trovò i natali il grande Domenico Ridola, medico di professione e archeologo per passione che a fine ‘800 fu il pioniere delle prime sistematiche ricerche paletnologiche in Basilicata.
A tre Km dall’abitato, su un’altura da cui si domina tutto l’intorno, sorgono gli scenografici e affascinanti ruderi del Castello di Uggiano, un’antica fortificazione militare bizantina risalente al IX secolo e ricostruita dai Normanni nel XI secolo, nota per aver offerto a Roberto il Guiscardo nel 1068 uno strategico appoggio durante il suo tentativo di conquista della non lontana “Montepeloso”, l’attuale Irsina (MT).
Ma Ferrandina non è solo scrigno di svariate opere artistiche, infatti, a parte tutto, è ben nota per la produzione dell’olio extravergine Majatica di Ferrandina, che ha ricevuto da poco il riconoscimento della certificazione DOP, un prodotto di altissima qualità dal sapore molto delicato, oltre alle gustosissime olive da tavola passite mediante infornata.
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Sant’Arcangelo e il convento di Santa Maria d’Orsoleo, un gioiello artistico immerso fra gli uliveti
Il borgo di Sant’Arcangelo (PZ), rinomato per le coltivazioni ortofrutticole e per la produzione di olio, sorge su un’altura dalla quale si gode uno dei panorami più belli e vasti sulla valle del fiume Agri, oltre la quale si aprono le increspature del cuore più interno dei Calanchi, di cui Sant’Arcangelo (Pz) rappresenta la porta d’accesso meridionale.
Da qui, infatti, proseguendo verso Nord si snoda una serie di stradine che come sottili lingue scure si insinuano fra le candide onde del mare calanchivo.
Echi bizantini
La costruzione sorge nel luogo occupato un tempo da una cappella bizantina risalente al XII secolo.
In questo centro si trova il Complesso monumentale di Santa Maria di Orsoleo, vero gioiello santarcangiolese, che sorge non lontano dall’abitato, immerso in un contesto paesaggistico di grande suggestione fra colline e uliveti.
Si tratta di uno dei monumenti religiosi più importanti della regione, edificato a partire dal 1474 nel luogo su cui già esisteva una cappella bizantina del XII secolo.
Il complesso, ornato da uno splendido ciclo di affreschi che raffigurano diversi episodi della vita di Cristo realizzati da Giovanni Todisco nel 1545, si snoda intorno a due chiostri, il più piccolo tardo -quattrocentesco e quello maggiore risalente, invece, al Seicento.
Il complesso
Edificato dal 1474 si snoda intorno a due chiostri e reca uno splendido ciclo di affreschi.
L’annessa chiesa con l’imponente campanile alto trentuno metri custodisce, invece, al suo interno una preziosa scultura lignea del XIII secolo, la Madonna col bambino, ricoperta da abiti di cartapesta aggiunti nel Settecento, oltre a un pregevole coro ligneo barocco e diverse tele cinque-seicentesche attribuite ad Antonio Stabile e Pietro Antonio Ferro.
Più a Nord, si attraversano i luoghi che hanno restituito alla luce importanti reperti archeologici appartenenti a numerose necropoli risalenti al IV secolo A.C., come lo stupefacente corredo funebre di una sepoltura infantile ricca di giocattoli in terracotta, conservati nel Museo Archeologico Nazionale della Siritide di Policoro (MT).
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Stigliano, la Porta di accesso Nord ai Calanchi
Terra impastata di sole e d’argilla che si sgretola sotto il peso del tempo
A Sud di Stigliano i paesaggi lunari dei Calanchi e a nord quelli aguzzi e lussureggianti delle Dolomiti Lucane
Stigliano (MT) è il paese noto per essere stato teatro nel 1861, in pieno periodo di brigantaggio post-unitario, di uno degli scontri più cruenti fra le truppe dello Stato nazionale, guidate dal Generale Borjes, e i briganti capeggiati da Carmine Crocco in cui persero la vita quaranta uomini delle milizie piemontesi.
Il borgo, che sorge su un costone a circa novecento metri di altitudine che domina tutto l’intorno, rappresenta il limite estremo nord dell’area dei Calanchi.
Il borgo, immerso nel verde e nei boschi, è la porta d’accesso nord ai Calanchi.
Da esso, infatti, possono partire suggestive escursioni alla scoperta del vicino Bosco di Montepiano, ottocento ettari ricoperti di giganteschi esemplari di cerri colonnari alti fino a trenta metri, parte del Parco Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane, nel quale i paesaggi cambiano radicalmente con foreste lussureggianti e aguzze vette rocciose.
Nel centro abitato è sicuramente da visitare la Chiesa Madre dedicata all’Assunta, il cui nucleo originario risale al Seicento anche se è stata edificata su un precedente edificio.
All’interno custodisce pregevoli opere d’arte come un Polittico del 1520 di Simone da Firenze ed un dipinto raffigurante Sant’Anna in piedi con la Madonna seduta che ha sulle ginocchia il bambino, realizzato all’inizio del XV secolo da un maestro napoletano che nella sua pittura mostra chiare influenze nordiche.
Molto suggestiva anche la facciata settecentesca a bugne della Chiesa di Sant’Antonio, fondata insieme al Convento di cui fa parte nel tardo Quattrocento, che custodisce al suo interno, fra le altre opere artistiche, una Madonna col bambino, dipinta da Antonio Stabile nel 1580.
La ricca e suggestiva facciata a bugne che decora la chiesa di Sant’Antonio.
Missanello (Pz) e Roccanova (Pz) enogastronomiche
Immerso fra uliveti secolari si trova Missanello (PZ) uno dei paesi lucani più noti per la produzione di olio, l’extravergine delicato e a bassa acidità con olive majatica.
Il borgo è arroccato su un’altura da cui si domina la valle dell’Agri e al suo interno sono da vedere il Castello di origine medievale, oggi proprietà privata.
Il vicino Convento seicentesco di Santa Maria delle Grazie e la Chiesa Matrice di San Nicola Magno, risalente al XII secolo anche se modificata nel ‘400, a cui si accede da un bel portale sormontato da una scultura in pietra del Santo del trecento.
All’interno una scultura lignea della Madonna con bambino (XV secolo) e una tela seicentesca del Pietrafesa dedicata a Sant’Antonio.
Altro fiore all’occhiello dell’enogastronomia regionale è Roccanova (PZ).
Il borghetto intorno al quale sono state ritrovate interessanti necropoli del VII secolo A.C. e sul quale domina la sagoma del campanile della Chiesa di San Nicola di Bari, fondata nel Duecento ma in seguito rimaneggiata.
E’patria del noto “Grottino di Roccanova DOC“, il pregiato vino dal colore intenso, sapore possente e aroma pieno, prodotto da uve ciliegiolo, trebbiano e malvasia, conservato in grotte scavate nella roccia, a cui è dedicata una grande sagra a Dicembre.
Fra uliveti e ricchi vigneti Missanello è noto per le eccellenti produzioni di olio extravergine ricavato da olive majatica; Roccanova è famosa, invece, per il suo Grottino.
Fra uliveti e ricchi vigneti Missanello è noto per le eccellenti produzioni di olio extravergine ricavato da olive majatica; Roccanova è famosa, invece, per il suo Grottino.
Per visite turistiche e Tour del gusto a Missanello e Roccanova
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Senise, gastronomia e capolavori d’arte
Senise (Pz) è il paese noto per i suoi gustosi Peperoni cruschi certificati IGP.
Il centro storico è un intreccio di vicoli e gradinate che salgono verso il castello fondato nel 1200, anche se rifatto poi nel ‘400, e si snodano intorno alla Chiesa Madre che, col suo campanile imponente, è dedicata a Santa Maria della Visitazione.
Intorno numerosi edifici nobiliari costruiti fra il ‘400 e il ‘700 tra cui i Palazzi Marcone e Fortunato, sede quest’ultimo, del Museo Etnografico del Senisese, dove sono esposti manufatti di artigianato e oggetti della cultura popolare della zona.
Il Museo etnografico del Senisese che ha sede a Palazzo Fortunato.
All’ingresso del paese sono la Chiesa di San Francesco, edificata nel XIV secolo, alla quale si accede da un bel portale quattrocentesco, e l’ex Convento Francescano affrescato nel chiostro con dipinti cinquecenteschi della scuola di Giovanni Todisco, oggi sede del Municipio e del Museo del territorio, dedicato al tema dell’acqua.
Nella chiesa svariate opere d’arte fra le quali un grande e prezioso Polittico Rinascimentale di Simone da Firenze e un Crocifisso ligneo del ‘300, oltre a un pregevole coro finemente intagliato del XVI secolo e diversi affreschi quattro-cinquecenteschi, fra cui spicca quello rappresentante San francesco e San Francesco da Paola, dipinto da Giovanni Todisco nel 1548.
Per visite turistiche e degustazioni gastronomiche a Senise
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La Diga di Monte Cotugno
La Diga di Monte Cotugno, uno dei tanti invasi artificiali che costellano il territorio lucano, è una delle più grandi opere in terra battuta d’Europa, stupenda macchia d’azzurro fra i gialli estivi e i verdi primaverili che con le loro mille sfumature la circondano.
L’invaso, che sbarra il corso del fiume Sinni, si estende su una superficie di oltre milleottocento ettari e consente la raccolta di più di cinquecento milioni di metri cubi d’acqua, utilizzati in gran parte per l’irrigazione della pianura metapontina e della vicina Puglia.
Sull’immenso specchio d’acqua si svolgono periodicamente gare di canottaggio nazionali e internazionali, e, di recente è stato istituito un parco tematico regionale dedicato allo sbarco degli antichi Greci sulle sponde dello Ionio che vedrà l’utilizzo di tecnologie fra le più moderne oggi esistenti per creare impattanti effetti speciali, come proiezioni su giganteschi schermi d’acqua e ricostruzioni di navi secondo i modelli dell’epoca, che daranno vita al più grande spettacolo d’acqua d’ Europa.
Quindi, essa costituisce una vera chicca non solo per gli amanti della natura, dello sport e dell’ingegneria (è una delle più grandi opere europee in terra battuta), ma anche per coloro ai quali piacciono la storia e lo spettacolo.